NON SMETTERE DI SOGNARE

di Viviana Guarini

C’era una volta un paesino sperduto del Sud Italia. Uno di quelli che contano meno di mille abitanti, un market e una ricevitoria.

Maria era solita prendere l’autobus ogni mattina, alle 07.30, per raggiungere il suo posto di lavoro. Lo studio di un noto avvocato di città dove lei, da ormai quattro anni, prestava servizio come segretaria.

Quella di Maria non era una vita pretenziosa. Puntava la sveglia ogni mattina alle 06.00. Si alzava dal letto trascinandosi in cucina, preparava una moka di caffè, si sedeva all’enorme tavolo bianco disposto nel salotto e, guardando con occhi spenti fuori dalla finestra, inzuppava i suoi biscotti al cioccolato nel tazzone di latte macchiato.

Poi si vestiva, senza troppa attenzione, metteva un filo di matita sugli occhi per cancellare un po’ le sembianze della ragazza di periferia, e passeggiava sino alla fermata del bus.

Prestava servizio presso lo studio sino alle ore 17.00. Ogni giorno, per pranzo, si recava nel piccolo giardino interno di quell’enorme palazzo, per consumare un panino con le verdure grigliate o con la frittata.

Terminato il turno di lavoro, riprendeva l’autobus alle 17.20. Arrivava a casa alle 18.00, giusto in tempo per una bella doccia calda, le pulizie, il pigiama, una cena scarna, un film in tv e poi di nuovo a letto, non prima di aver puntato la sveglia alle 06.00

Maria era una ragazza sveglia. Da bambina la chiamavano “l’enfant prodige”.

“Farai grandi cose” le ripeteva la maestra alle scuole elementari. Era stata una bambina di talento, piena di passione, entusiasmo e tanti sogni.

Di quella bambina, però, oggi lei non ne riusciva a vedere più traccia. I giorni si consumavano come neve al sole. Si era accontentata di un lavoro che le portava via l’intera giornata per uno stipendio di 1000 euro al mese con cui riusciva a malapena a pagare l’affitto, le bollette, fare la spesa e qualche regalino ai nipotini per i compleanni e per il Natale.

Non un tuffo al cuore. Non più un’emozione. Non più un’ambizione.

Una mattina Maria si svegliò come ogni altra mattina, si recò in bagno, si guardò allo specchio e scoppiò in lacrime.

Quel giorno non andó a lavoro. Decise che si sarebbe presa un giorno di ferie. Così raggiunse la fermata del bus ma non si fermò, come sempre, all’angolo di Via Manzoni. Proseguì per circa dieci fermate e scese al parco due Giugno.

Con sé portava un taccuino e una penna. Non sapeva bene come avrebbe trascorso la mattinata ma sentiva di aver bisogno di qualcosa di nuovo.

Entrò nel parco, non prima di aver preso un enorme tazza di caffè al bar antistante.

Si sedette sul prato, prese il suo taccuino e scrisse la prima cosa che le venne in mente: “Tu hai il diritto di sognare, ancora”.

Maria, sin da bambina, aveva sognato di diventare una scrittrice.

Con i libri non ci mangi” le avevano spesso ripetuto le persone che la amavano. E così aveva finito per credere che rinunciare al suo più grande sogno fosse davvero la strada giusta.

Quella mattina, affamata di emozioni, buttò giù ben trenta pagine di parole. Connesse o sconnesse, a lei non interessava. Scrivere la fece sentire viva, ancora.

D’improvviso si accorse che era giunto quasi il crepuscolo. Era stata ore, immobile, senza neanche avvertire lo stimolo della fame, a scrivere su quel taccuino.

Guardò l’orologio: erano le 17.00.

Si alzò di fretta e furia per non perdere l’autobus che l’avrebbe ricondotta a casa.

Seduta su quel bus, mentre guardava fuori dal finestrino, pensò a quanto le era mancato sentire quelle vibrazioni nel cuore. Per un istante credette che davvero avrebbe potuto mollare tutto per seguire il suo sogno più grande. Poi, però, quella vocina assillante ritornò a bombardarle la testa: “Ma dove credi di andare? Con i libri non ci mangi. Non essere sciocca!”

E così abbassò lo sguardo in segno di resa.

Giunta a casa, mentre disfava la borsa, si accorse di aver smarrito il suo taccuino. Proprio quello su cui aveva trascorso l’intera giornata.

Scoppiò nuovamente in un pianto che sembrò non avere mai fine.

Questo è un segno del destino. Così la smetto di credere di essere ancora una bambina con il diritto di sognare”.

Senza neanche cenare si fece una doccia e si mise a letto.

La mattina successiva, mentre si recava come sempre alla solita fermata del bus che l’avrebbe condotta a quell’ormai odiatissimo lavoro, squillò il cellulare.

Pensò che fosse il suo capo che volesse rimproverarla per il ritardo. Lei non era mai in ritardo, ma aveva continuamente timore di sbagliare qualcosa. Così, prima di prendere il telefonino dalla borsa, guardò l’orologio per assicurarsi di non essersi confusa di un’ora. Maria era in perfetto orario.

Un po’ più tranquilla prese il telefonino in mano. Numero sconosciuto.

<< Pronto, con chi parlo?>>

<< Salve. Parlo con la Signora Maria delle Chiari? >>

<< Sì, sono io. Lei invece è? >>

<< Buongiorno Maria, sono il signor Cristoforo. Ho ritrovato ieri un taccuino nel parco, che credo essere di sua proprietà. Vi era segnato un numero di telefono e ho quindi sperato che fosse della sua proprietaria >>.

Maria ebbe un sussulto di gioia nel cuore.

<< Sì, è il mio! Non so come ringraziarla, lo avevo ormai dato per perduto >>.

<< Capita Spesso Maria, di dare perduto ciò che smettiamo di cercare >>.

Maria sospirò.

<< Ascolti Maria, io purtroppo sono in partenza per Roma. Riesce a raggiungermi al parco in trenta minuti? Così le rendo il taccuino>>.

 

Maria restò qualche secondo in silenzio. Andare a recuperare il taccuino le sarebbe costato un mega rimprovero dal suo capo e forse anche una decurtazione dallo stipendio.

Per una volta, però, decise di fare di testa sua senza badare alla paura e di seguire semplicemente il cuore. Quel taccuino era importante per lei e non avrebbe permesso ad un rimprovero di perderlo per sempre.

<<Certo Sig. Cristoforo, la raggiungo in venti minuti >>.

<< Perfetto. La attendo all’entrata. Non avrà difficoltà nel riconoscermi. Indosso un impermeabile nero ed un cappello >>.

<< A tra poco>>.

 

Maria non era più nella pelle. L’idea di recuperare quelle pagine scritte con tutto il cuore dopo anni in cui aveva smesso di credere nel potere delle sue parole e nella loro magnifica forza salvifica, la faceva sentire piena di gioia.

Scese dal bus alla fermata del parco e iniziò a camminare a passo veloce verso l’entrata.

Riconobbe subito il Sig. Cristoforo.

<<Salve, lei deve essere Maria>>, le porse la mano con un sorriso sornione.

<< Cosa fa nella vita, Maria? >> proseguì lo sconosciuto.

Maria era imbarazzata e non sapeva perché quel signore si fosse presentato con una domanda così invadente. Esitò qualche istante poi proseguì.

<< Faccio la segretaria presso uno studio di avvocati>> e quasi imbarazzata, come se stesse tradendo la sua vera anima, abbassò la testa.

<< Non mi è solito trovare taccuini abbandonati nei parchi. Qualcuno però, molto più saggio di me, chiamava le coincidenze “Sincronicità”. Nulla capita per caso, se sappiamo affidarci ai segnali. Ieri sera, dopo aver raccolto il suo taccuino, non ho potuto fare a meno di iniziare a leggere, mosso dalla mia incurabile curiosità >>.

Maria aveva adesso le guance totalmente in fiamme.

<< Ma, ma veramente io…>> riuscì a malapena a balbettare.

<<Io credo che lei abbia un talento innato per la scrittura. Le sue parole sanno scavare l’anima, la pelle e le ossa. Mi creda, ho visto passare davanti ai miei occhi, negli anni, migliaia e migliaia di manoscritti e credo che mi sia capitato forse solo una volta di provare le vibrazioni che ho provato leggendo le sue pagine >>.

<< Ha letto così tanti libri? Deve essere un appassionato allora >> rispose intimidita Maria.

<< Non solo. Sono anche il fondatore di una delle case editrici più affermate nel mondo. Sa’, avevo la sua età quando decisi di mollare il noioso lavoro nell’azienda di mio padre e partire da un sottoscala fon un’idea tutta mia. Oggi, alla mia veneranda età, ho visto passare dalle mie mani piccoli gioielli divenuti tesori che faranno parlare di sé per i secoli avvenire.

Ecco non voglio girarci molto intorno, anche perché a breve partirà il mio aereo. Vorrei proporle un contratto di pubblicazione con la mia casa editrice >>.

Maria non riusciva a crederci. Gli occhi non riuscirono a trattenere l’emozione.

Così con un sorriso che non ricordava prendere forma così bene sul suo volto da forse vent’anni, rispose con un enorme e urlato << Sì, lo voglio>>.

Scoppiarono a ridere entrambe e si diedero la mano.

 

Cinque anni dopo.

 

<< E siamo adesso orgogliosi di chiamare sul palco l’autrice che ha venduto oltre un milione di copie, riuscendo ad entrare nelle case dei lettori di tutto il mondo: Maria delle Chiari, per la consegna, per il secondo anno consecutivo, del premio Strega>>.

Maria non si era ancora abituata, nonostante fossero passati ormai anni da quel giorno nel parco, ad essere chiamata “Autrice”. E ogni volta era esattamente come quella prima volta in cui uno sconosciuto aveva creduto in lei. O forse doveva solo ancora convincersi che a volte basta solo far sapere all’universo che siamo sempre dalla parte dei nostri sogni affinché essi possano esaudirsi.

A tutte le Maria nel mondo: abbiate cura di splendere. Sempre. La vita ha soltanto bisogno di sapere che siamo coraggiosi.

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